Sessant’anni, oggi. Auguri a Peppe Giannini. Capitano tormentato, figlio di una Roma a metà strada tra quella di Falcao e quella di Totti, ha rilasciato un’intervista al quotidiano. Queste le sue dichiarazioni:
SKY SPORT La responsabilità della maglia numero 10… “Credo che sia esaltante, quando indossi una maglia così la cosa deve spronarti a mettere in campo idee, fantasia e tecnica. Dybala è il più adatto a tutto ciò. Ci sono anche delle strategie societarie che io non conosco, ma quella maglia rappresenta un po’ la fantasia, l’inventare qualcosa sempre e comunque in campo”.
La carriera a Roma? “Sono arrivato in prima squadra in un’era che non era grandiosa, ma non mi sono perso d’animo, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cercato di rappresentare al meglio il valore della squadra. Roma non è facile, ho visto tanti campioni, qualcuno è sbocciato altrove. Ho sempre indossato quella maglia, la numero 10, con grande orgoglio e a testa alta, era il mio modo di giocare e di vivere, sempre limpido e lineare. Ho incrociato grandi campioni, come Antognoni che stava sulla trentina, Platini, Boniek, Zico, van Basten. Devo essere onesto, ho avuto compagni importanti, di tante battaglie. Ci siamo divertiti, sono contento di questo”.
I momenti illuminanti? “Sono stati diversi, ho vinto tre volte la Coppa Italia, una Coppa d’Austria e una Supercoppa d’Austria, ho partecipato da lontano allo scudetto del 1983, dovevo giocare l’ultima partita e non l’ho fatto perché ero a un torneo con la nazionale under 16. Ho vissuto momenti bellissimi, alcune finali, qualche semifinale, qualche qualificazione conquistata. Quello che conta è il modo con cui si entrava in campo”.
Come vengono coinvolti o non coinvolti gli ex giocatori nelle società italiane? Altrove c’è più coinvolgimento per creare senso di appartenenza… “Ci possono essere tanti motivi, elencarli sarebbe lungo. Prendo l’esempio di Maldini. È stato richiamato, ha fatto grandi cose ed è stato di nuovo allontanato. Voglio pensare che siano persone che danno fastidio, chi è lì pensa che possano far passare le altre persone in secondo piano e questo non è assolutamente vero. Conosco Paolo e conosco ex campioni, come lo stesso Riccardo Ferri, che fa il suo, sta lì, dà consigli, sono figure che poi servono. Se vogliamo essere più cattivi, essere timorosi di Maldini, Ferri, Baresi, Baggio, Giannini è da stupidi. Le persone intelligenti si fanno affiancare da persone che sanno, per migliorare l’ambiente. La penserò sempre così, ora sto aprendo una scuola calcio a Marino, cerco sempre di avvicinarmi persone che possano migliorarmi e dare consigli giusti. Secondo me è da persone intelligenti guardarsi intorno e aprirsi”.
Cosa pensi di De Rossi? “Daniele è un mio pupillo, l’ho sempre apprezzato, come apprezzo tutti quelli che prendono a cuore la maglia e l’ambiente giallorosso. È un ragazzo intelligente, è entrato in punta di piedi non avendo alle spalle grande esperienza, ma non serve. Se giochi tante partite in nazionale, nelle coppe e sei un protagonista, non hai bisogno di esperienza. Daniele conosce i muri di Trigoria, come tanti ex. Daniele è uno di questi e va stimato e aiutato quando ce ne sarà bisogno, speriamo di no”.
Dybala? “Se domenica c’è stata una palla gol, l’ha creata lui. Il valore è assoluto, è un protagonista che andrebbe tenuto sempre, io lo terrei sempre. Ci sono altre cose, altre dinamiche in una società che vanno rispettate. Speriamo che rimanga a Roma, vederlo insieme a Soulé e Pellegrini è un qualcosa di meraviglioso, spererei che rimanesse”.
MESSAGGERO Lei nel posto giusto ma nel momento sbagliato, no?
“In ritardo sulla prima Roma, troppo in anticipo sulla seconda, ma sono orgoglioso: nella mia vita ho fatto di tutto, però la prima parte della mia carriera è stata indimenticabile”
Metta nell’ordine le sue grandi delusioni… “Roma-Lecce ’86, eravamo a un passo dallo scudetto dopo una rincorsa esaltante sulla Juve, poi la semifinale mondiale persa a Napoli contro l’Argentina nel ’90 e infine la notte contro lo Slavia Praga, la mia ultima con laRoma. C’è anche Roma-Torino, finale di Coppa Italia del ’93, ma mi consolo con il fatto di averlo vinto quel trofeo”.
(…)
Come è arrivata la Roma? “In famiglia, essendo dei Castelli, c’era qualche laziale, ma a me colpi uno scudetto della Roma, in ceramica, che mio nonno teneva attaccato alla parete. E da lì, la passione per quei colori, ero innamorato di quello scudetto. Il destino ha voluto che, dopo un provino al Milan, mi prese proprio la Roma. Volevo l’Olimpico, la fascia, è arrivato tutto”.
Si diceva che fosse un raccomandato per via del suo papà; Gildo, che era un dirigente di calcio, legato alla Roma… “Le assicuro che non mi ci sono mai sentito. Le ho passate di tutti i colori e ho sempre reagito da solo alle avversità, compresa quella dell’esordio in A contro il Cesena, quando procurai la rete degli avversari. Tre giorni dopo giocai il derby con le giovanili: feci due gol e tornai subito in prima squadra”.
La fascia quando arrivò? “Quando Bruno Conti prese sei giornate di squalifica dopo gli insulti a Lanese in un Ascoli-Roma. Liedholm comunicò che sarei stato io il capitano”.
Ha vissuto più noie o privilegi da capitano della Roma? “Dietro a quel pezzo di stoffa c’è una storia, una città, le sue tradizioni, le passioni di un popolo. La fascia è stata sul braccio di gente come Losi, Di Bartolomei e tanti altri. Sì, tante responsabilità, ma sempre un piacere”.
(…)
Prova invidia per Totti e De Rossi? “No, sono contento per Daniele, lui conosce le mura di Trigoria e basta quello per sapere cosa sia il meglio da fare, per questo è l’uomo giusto per la Roma. La storia della mancanza d’esperienza è una fesseria. Quando conosci a memoria quell’ambiente hai una marcia in più”.
Il post calcio di Totti è un po’ come il suo: fuori dalla Roma… “A me dicevano sempre «tu sei Giannini, non posso mica darti gli allievi nazionali». Con questa storia sono sempre rimasto fuori, e per lui è un po’ cosi. Tutte scuse”.
Il problema è che lei non si è mai saputo vendere… “Si, probabile. Sono sempre stato cosi, lo ha detto anche Pellegrini in una intervista a Il Messaggero: non c’è bisogno di fare il ruffiano. Io ho sempre fatto quello che sentivo, non studiavo a tavolino i miei comportamenti. Andavo a braccio».
(…)
FONTE: Sky Sport / Il Messaggero