Ci risiamo. La telenovela Dybala–Roma è come uno di quei grandi classici natalizi in tv. Oggi il calendario recita 20 dicembre ma sembra di essere in piena estate, 20 agosto o giù di lì, con l’immancabile rimpallo di responsabilità tra le parti. E sullo sfondo quella sensazione malinconica che si sia perso tempo, bruciato allenatori, progetti, investimenti e idee all’insegna del vorrei ma non posso.
La verità come al solito è una, amara ma incontrovertibile. Da un lato c’è la Roma che voleva cedere Paulo in estate e non ha cambiato idea adesso, soprattutto alla luce di una stagione buttata via già a ottobre e con la spada di Damocle di un contratto che prevede tra poche partite il rinnovo automatico a 8 milioni anche per la prossima stagione.
Dall’altro c’è il calciatore che ha capito ormai di non essere più la stella cometa del progetto dei Friedkin da tempo ma che per salutare vuole trovare la meta giusta. Che non poteva essere Al-Qadisiyah ad agosto e chissà se potrà diventarlo il Galatasaray a gennaio.
In mezzo a tutto ciò c’è Ranieri. L’entusiasmo di Claudio il giorno della presentazione (“Non mi interessa se Dybala ha clausole, faccio come mi pare, l’ho detto al Presidente“), ha lasciato spazio dopo un mese a frenate di circostanza (“Mi fa piacere averlo e metterlo in campo quando sta bene. Se il ragazzo però non vuole restare, andrà“) alternate a inevitabili apprezzamenti sul valore del calciatore: “La Roma senza Dybala è un’altra squadra. Tre partite di fila ancora non riesce a gestirle, ma per me è un giocatore importante“. E si riparte, come nel più classico giorno della Marmotta. Come uscire da questo loop? Serve che una delle due parti sparigli.
FONTE: Il Messaggero