In questi ultimi giorni, nel tragitto che dal Torrino lo porta tutti i giorni a Trigoria, chissà quante volte avrà pensato al suo passato. A quando per andarsi ad allenare prendeva la Cassia Bis piuttosto che la Laurentina e il centro sportivo era Formello e non il Fulvio Bernardini. O a quando la casa l’aveva dall’altra parte della città, alla Collina Fleming, invece che al Torrino Nuovo, a ridosso dell’Eur. O, molto più semplicemente, alle sensazioni che viveva quando era dall’altra parte del Tevere e vestiva la maglia della Lazio invece di quella attuale della Roma. Di certo c’è una cosa, che l’uomo più atteso per il derby disabato è lui, Aleksandar Kolarov, tre anni vissuti felicemente in biancoceleste e oggi uno dei punti di forza dei giallorossi. L’uomo dei due mondi, verrebbe quasi da dire. Considerando anche che, a scoprirlo ed a portarlo in Italia dall’OFK Belgrado fu un altro uomo dei due mondi, Walter Sabatini, il d.s. che dopo aver colorato la prima Lazio di Lotito si è dedicato anima e corpo alla Roma dei sogni americani.
ROMA NEL DESTINO – Kolarov nella Lazio è cresciuto prima di spiccare il volo verso i successi di Manchester, sponda City. Ma a Roma città è sempre rimasto legato, tanto che qui aveva deciso di chiudere la carriera. Per un po’ ha flirtato di nuovo con i biancocelesti («La Lazio mi manca, un giorno mi piacerebbe tornare», ha detto a giugno scorso), poi – quando è arrivata la chiamata di Monchi – non ci ha pensato su e in 5 minuti («Sì, mi sono bastati quelli per chiudere l’accordo con il d.s.», ha ammesso) ha accettato la proposta della Roma. Non senza polemiche, però, proprio per il suo passato. Così appena sbarcato sono apparse subito le prime scritte offensive. «Kolarov verme», la firma degli ultrà laziali, che gli hanno ricordato anche una sua vecchia dichiarazione («Alla Roma non andrei mai»). «Non dimentichiamo il tuo passato con quella maglia. Ti auguriamo la stessa fine di Chinaglia! Kolarov bastardo laziale», il messaggio di quelli romanisti. Insomma, non proprio la situazione migliore. Kolarov, però, non si è fatto prendere dall’ansia né dalla paura e ha iniziato a fare semplicemente quello che sa fare meglio. E cioè giocare dando tutto se stesso. Così sono arrivate le prestazioni (molte di alto livello), qualche gol sparso (Atalanta, Torino e Chelsea) e una professionalità che ha finito con conquistare gran parte del tifo giallorosso. Insomma, il passato sembra non contare davvero più.