“Il derby non si gioca, si vince“. Nessuno lo sa meglio di Daniele De Rossi l’allenatore più tifoso della sua squadra che esista al mondo. C’è voluto lui per interrompere la serie positiva della Lazio e regalare alla Roma un successo che era mancato negli ultimi quattro derby, senza gol, targati Mourinho. Freddo e lucido nella preparazione e nelle scelte durante la partita. Caldo e appassionato nell’esultanza finale quando ha scaricato tutta la sua enorme gioia.
I tifosi della Roma conoscono bene quella vena sul collo che si gonfia dal 25 gennaio 2003 giorno del suo esordio in A da giocatore con la maglia giallorossa e che ha orgogliosamente messo in mostra ogni volta che c’è stato da sudare, lottare, soffrire, festeggiare per la Roma che è da sempre la sua seconda pelle. Quale tifoso di calcio non vorrebbe come tecnico della propria squadra uno che la ami così tanto? Ma sarebbe riduttivo ridurre tutto al cuore, al sentimento, all’impegno, perché quello che sta dando de rossi alla Roma è molto di più.
I Friedkin hanno avuto un grande coraggio ad affidare a Daniele il dopo Mou: eredità emotivamente pesantissima. E bisogna dare il merito alla proprietà di questa felicissima intuizione. Da quando il 16 gennaio ha firmato fino a fine stagione De Rossi ha chiesto solo una cosa: di essere trattato da allenatore e non da bandiera. E poi in tre mesi ha cambiato tutto.
I numeri: 8 vittorie, 2 pareggi, una sconfitta (con l’Inter…) in A e due passaggi di turno in Europa League. La mentalità: vincente, offensiva, positiva. «Siamo forti, dobbiamo lottare per la Champions» ha detto dopo anni a sentir ripetere che quasi tutte le avversarie erano più forti e attrezzate della Roma. Il gioco: propositivo e non attendista. A volte la squadra è stata esaltante, altre ha sofferto e ha avuto anche un pizzico di fortuna. Ma mai è scesa in campo per non prenderle e fare barricate. Le scelte: pronti via, cambio del portiere (lanciato Svilar) difesa a quattro con terzini che spingono, recupero di giocatori dispersi (da Celik a Smalling), inserimento di chi sa saltare l’uomo (El Shaarawy), recupero ai massimi livelli di un pilastro (Pellegrini).
La valorizzazione della rosa: tutti partecipi e utilizzati. L’atteggiamento: basta polemiche esagerate prima, durante e dopo le partite. Squadra più corretta in campo e panchina mai isterica. I sold out all’Olimpico: dopo l’era Mou sono continuati con de rossi. La comunicazione: praticamente perfetta. Con Daniele si è tornati a parlare solo di calcio. Umile e autocritico, si è preso sempre lui la responsabilità dei passi falsi, mai una scusa, mai uno scaricabarile, mai un tentativo di spostare furbescamente l’attenzione. de rossi non ha bisogno di fare il capopopolo e di accarezzare la pancia dei tifosi, non parla mai per celebrare e promuovere se stesso ma mette la Roma, società e giocatori, davanti a tutto.
Ora stiamo parlando del nuovo Guardiola o del nuovo Klopp? No, certo. La sua carriera è solo all’inizio e tutta ancora da disegnare. Finora però ha mostrato idee, capacità, coraggio, duttilità. E anche grazie a lui (e ai risultati), il club si può permettere di scegliere con calma i diversi dirigenti che oggi mancano. Tra le scelte da fare c’è anche quella dell’allenatore. Più di quanto De Rossi sta facendo per meritarsi la conferma è impossibile. Ha preso una Roma depressa al nono posto e l’ha portata a lottare per la Champions. Giovedì si giocherà l’andata dei quarti di Europa League contro il Milan, ma legare un progetto futuro solo al passaggio del turno sarebbe miope.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. Di Caro