Quelle mani sulla testa dopo il gol – quel gesto che richiama tanto l’incredulità di un bambino che ha appena compiuto un’impresa impensabile fino a poco prima – unite alle lacrime a fine gara di Niccolò Pisilli, classe 2004, sono la perfetta rappresentazione di ciò che Mourinho ha spiegato a parole dopo la vittoria con lo Sheriff. «Ho fatto esordire tanti giovani nel corso della mia carriera – le parole del portoghese – ma tutti questi ragazzi che ho qui a Roma, tranne Joao Costa che è arrivato dopo, sognavano di vestire questa maglia e di fare gol davanti a questa Curva magica. Sono romanisti, che venivano allo stadio con il papà e il nonno, e ora realizzano il loro grande sogno». Figli di Roma, che sognano – chissà, un giorno… – di diventare Capitani e bandiere. Come Pellegrini e come tanti altri prima di lui, in un filo giallorosso che li lega idealmente a De Rossi e Giannini, a Totti e ad Ago.
Non solo Niccolò Pisilli: nella schiera dei cosiddetti “bimbi di Mou” andrebbero conteggiati di diritto anche Zalewski e Bove (quest’ultimo fresco di rinnovo), che avevano già debuttato con Fonseca, ma che con José hanno trovato continuità e oggi possono essere ritenuti dei veri e propri titolari. Tra quelli che invece hanno debuttato durante il regno dello “Special One”, c’è Pagano, di Tivoli come Zalewski, che di spezzone in spezzone si sta rivelando l’equivalente del Bove di due anni fa; ci sono Cherubini, D’Alessio, Joao Costa e Mannini (all’esordio assoluto proprio giovedì sera), ragazzi che dalla Primavera si stanno affacciando soltanto ora in Prima squadra, raccogliendo scampoli di calcio “vero”, mentre continuano comunque a lavorare con Guidi.
Mou li studia, li tiene perennemente sotto controllo, proprio come farebbe un padrino con i propri figliocci. E, quando loro se lo meritano, li coccola: non solo in senso figurato, dando loro la possibilità di assaggiare la A e l’Europa, ma anche in senso letterale, con pacche, buffetti, sorrisi. Come quello rivolto a un Pisilli incredulo, al termine di Roma-Sheriff. «Sono dovuto andare via – ha detto in merito alle lacrime di Niccolò – altrimenti avrei pianto anche io». Se a dirlo è uno che conta oltre 1.000 panchine in carriera e 26 trofei, qualcosa vorrà pur dire.
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FONTE: Il Romanista – L. Latini