Tre partite sotto la guida di Ivan Juric e tre storie diverse. La Roma ha mostrato due facce, tanti aspetti confortanti ma, ai soliti problemi strutturali, ne ha aggiunti altri, più di natura tecnico-tattica. Problemi che vanno ricercati nelle caratteristiche della rosa, in rapporto al calcio che vuole proporre il tecnico croato, ben diverso da quello di De Rossi, con cui, proprio quella rosa, era stata allestita. Intensità, corsa continua, uomo contro uomo a tutto campo. Per giocare così, novanta minuti e tre gare a settimana, ci vogliono calciatori freschi, di corsa, di resistenza, specie se gli impegni sono ravvicinati.
I giovani danno una mano in questo senso e i casi di Pisilli (che può fare il centrale o il trequartista) e Baldanzi (che Juric ha riportato qualche metro avanti, sfruttando anche le sue “nuove” doti difensive) lo dimostrano, avendo portato in campo una buona dose di energia e di entusiasmo, un aspetto che nell’ultimo periodo era mancato.
Cristante è un uomo imprescindibile ma, come Paredes, ha un passo felpato, poco incline alle continue aggressioni alte e alle rincorse in campo aperto. Pellegrini deve ritrovarsi e può aiutarsi solo da solo. Koné è fondamentale, ma già contro il Venezia è apparso visibilmente stanco. Juric attende il rientro di Le Fée, che in pratica ancora non ha mai avuto. Quanto ai problemi strutturali siamo alle solite: i terzini non convincono e nel gioco di juriciano hanno un ruolo fondamentale.
Angeliño è l’unico esterno che convince mentre gli altri sono stati adattati a fare quel ruolo. Per questo motivo il tecnico croato spera nel reintegro di Zalewski, che in pratica da quando gioca in prima squadra ha sempre fatto il terzino. A destra, invece, Celik offre prestazioni sufficienti, ma non è l’esterno giusto per quel tipo di calcio, per non parlare di Abdulhamid, ancora acerbo. E infine c’è Dahl, che non è in lista Uefa e fin’ora non è stato preso in considerazione. Il problema c’era ed è rimasto.
FONTE: Il Messaggero – A. Angeloni