Il professor Pino Capua, presidente commissione antidoping della Figc e componente della commissione medica federale che si occupa della tutela della salute del calcio italiano, spiega l’infortunio e l’iter di riabilitazione di Evan Ndicka.
Ndicka ha riportato un trauma toracico con minimo pneumotorace sinistro. Di cosa si tratta? “Una contusione della cassa toracica che ha coinvolto minimamente anche il polmone che ha reagito con una sacca d’aria. Non c’è nessun tipo di coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare. Si sono prodotte delle conseguenze da analizzare”.
L’idoneità sportiva andrà rifatta? “Un atleta che è stato ricoverato per una gara di calcio, a mio modo di vedere una rivisitazione deve farla. Il trauma polmonare va tenuto sotto controllo e il pneumotorace potrebbe risolversi subito o potrebbe lasciare degli strascichi”.
Quanto dovrà stare fermo? “Qualche giorno d’osservazione è d’obbligo. Non ha concluso la stagione, tornerà a giocare dopo i controlli”.
Che sensazione le hanno fatto le immagini di Udine? “Preoccupanti, non si capiva cosa fosse successo. Vedendo il volto di De Rossi ho temuto il peggio”.
Che controlli si fanno ai calciatori per l’idoneità sportiva? “L’Italia è un’eccellenza perché è obbligatoria la visita medica sportiva in tutti gli sport prima di affrontare un impegno agonistico. La visita è composta da un esame generale, controllo delle articolazioni e delle strutture muscolari, un elettro cardiogramma a riposo e dopo sforzo, controllo della pressione arteriosa, esame delle urine e spirometria. Gli atleti professionisti in più fanno l’ecocardiogramma e una tac delle articolazioni».
Ha fatto la differenza la reattività dello staff sanitario? “L’elettrocardiogramma svolto negli spogliatoi non era ben chiaro e in ospedale gli hanno fatto gli enzimi. Sono stati bravi infermieri e medici dello stadio che lo hanno messo in condizioni di sicurezza”.
Si stanno facendo passi in avanti in Italia sull’immediato soccorso agli atleti? “Il problema della validità degli esami per gli sportivi, è di strutture esistenti nel nostro servizio sanitario nazionale. In tutta Italia dovrebbero essere centri di medicina dello sport in grado di coprire le esigenze non solo dei professionisti, ma anche di chi fa agonismo in 2ª o 3ª categoria. Purtroppo, in alcuni territori queste strutture non ci sono. Il caso del povero Mancini? Fa parte dell’imponderabile. Esiste sempre un lato oscuro del nostro cuore. Lo stesso che ha fatto morire Astori. Nessun tipo di esame può diagnosticare la natura maligna, in questo caso se si accerta che tutto è stato svolto secondo le regole dobbiamo pensare all’imponderabile”.
FONTE: Il Messaggero