Quel magnifico impostore che si chiama risultato rischia sempre di stravolgere le percezioni di chi non guarda le partite con la dovuta attenzione. Ecco perché Daniele De Rossi, uno che invece è abituato ad analizzarle fino al più piccolo dettaglio, non era soddisfatto al termine di Napoli-Roma, nonostante un pareggio arrivato all’ultimo tuffo di una partita che sembrava persa. In questi casi l’allenatore ragionevole esulta limitando la sua gioia al gesto stesso e al punto che, in questo caso, si porta dietro.
Ma non riesce a trarne delle valutazioni tali da far propagare l’entusiasmo sull’immediato futuro: anzi, sa che c’è tanto lavoro da fare. E lo fa, senza scoraggiarsi. Anzi, puntando pure sull’entusiasmo comunque generato dal risultato.
Ad esempio la scorsa settimana, nel buio della sala tattica di Trigoria, mentre la maggior parte dei commentatori si sdilinquiva per la prova del Bologna e denunciava i limiti emersi nella sfida di lunedì 22 all’Olimpico, alla fine dell’analisi della partita faticava a comprendere tutto quel pessimismo e si convinceva anzi che a favorire la vittoria dei rossoblù fosse stata soprattutto l’incidenza del caso, al netto ovviamente delle evidenti qualità tecniche e tattiche portate da Sartori e Motta alla squadra di quest’anno.
Allo stesso modo il pareggio del Napoli ha fatto risuonare qualche segnale d’allarme che in questi tre giorni di lavoro prima della decisiva sfida col Bayer Leverkusen dovranno essere analizzati, capiti, contenuti e, alla fine, possibilmente neutralizzati. Quali sono? E, soprattutto, come esorcizzarne gli effetti?
La questione fondamentale è stata evocata in quasi tutte le domande del post partita, sia nelle tribune televisive sia in sala stampa: la stanchezza. Che sia di natura fisica o mentale, ormai, non conta quasi più. Ciò che è saltato agli occhi della sfida di Napoli è quell’affanno che la squadra palesava in ogni corsa lunga, nei contrasti, nelle seconde palle, nella capacità di smorzare il palleggio altrui e di liberarsi per il proprio.
Citando a memoria, un paio di mancate rincorse di Pellegrini (su Anguissa e Rrahmani), la fatica di Mancini e Ndicka sugli scatti di Osimhen, gli affannosi contrasti di Bove, le costruzioni dal basso macchinose ecc. Insomma, è mancata la gamba e non solo in riferimento ai centimetri della circonferenza del quadricipite femorale di Lukaku, non solo per le indubbie capacità geometriche di Paredes, non solo per lo spessore che Smalling conferisce ad ogni giocata difensiva.
Senza questi tre pesi massimi mancano centimetri di muscoli e manciate di fosforo, è vero, ma a Napoli la Roma è rimasta perennemente a metà tra il coraggio e la sfiducia, l’ardore e la timidezza, la pressione alta e il blocco basso.
In sostanza non si è riusciti ad applicare bene strategia di gara perché è mancata la forza di sostenerla. Se ci fosse la certezza che oltre a Paredes giovedì torneranno in campo anche Smalling e Lukaku la maggior parte dei dubbi di De Rossi svanirebbero, ma la certezza ancora non c’è e uno chef bravo sa tirar fuori le sue prelibatezze con gli ingredienti che a disposizione.
Una cosa che forse abbiamo capito in queste settimane è che De Rossi ama le squadre multiformi. Significa che non vuole caratterizzare la Roma, o almeno questa Roma, secondo un cliché: pressioni estreme e difesa altissima, possesso palla nella metà campo avversaria, gioco perennemente offensivo; oppure, al contrario, blocco basso e zero pressioni offensive, nessuna costruzione dal basso e mentalità difensiva, gioco in verticale e cross buttati dentro dal fondo.
No, lui vuole una squadra che sappia fare tutto, che sia operaia quando gli avversari sembrano averne di più, che possa tracimare nella metà campo avversaria quando il momento o la qualità di cui si dispone lo consentono. Il rischio, in questi casi, è che non si definisca bene nella forma e nella personalità la squadra che va in campo e un po’ a Napoli è un limite che si è visto. Forse la considerazione di base è che non sempre viene valutato con la giusta attenzione il fatto che questa squadra non è stata costruita da lui, anzi, è stata concepita e messa a disposizione di un allenatore con una mentalità tattica decisamente differente.
Logico che dopo l’infarinatura iniziale e la trasmissione dei nuovi concetti si resti a volte con la sensazione dell’opera incompiuta, soprattutto quando di fronte ci sono squadre, come il Bologna o lo stesso Napoli che sono abituati a prendersi gli spazi che vengono loro concessi.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco