È stato come ricordare improvvisamente il pin dimenticato del bancomat: la combinazione di incastri favorevoli tra il retropassaggio di Linetty, il capolavoro tecnico di Dybala e la scivolata infelice di Masina hanno restituito un bagliore nel vuoto di qualità e disciplina che si era creato nella Roma. Non basta una vittoria così povera di contenuti contro «il peggior Torino del campionato», come ha osservato l’allenatore avversario Vanoli.
Ma almeno Ivan Juric, contro i vecchi allievi, ha ottenuto le risposte che cercava nel risultato e nell’atteggiamento. Sperando vengano tempi migliori, certo, a cominciare dalla trasferta di domani nella città in cui abita: Verona, l’altro club che ha allenato in Serie A prima di vivere il «paradiso» (cit.) di Trigoria.
Non era lecito aspettarsi molto di meglio, in realtà, dalla Roma che veniva dall’inceneritore di Firenze. Quattro giorni non risolvono i problemi, anche se le liti molto accese negli spogliatoi hanno permesso di affrontarli. La squadra poteva squagliarsi definitivamente, evaporare. Invece ha reagito d’orgoglio, ha provato a dominare la partita e poi ha saputo difendere il piccolo vantaggio.
Ed è abbastanza sorprendente che Juric, nella serata che poteva determinarne l’esonero, abbia deciso di rinunciare ai tre senatori del centrocampo contemporaneamente: Cristante e Pellegrini fuori «per scelta tecnica» più Paredes che ormai freme per tornare al Boca. Non era mai successo che tutti e tre andassero in panchina contemporaneamente.
Di più: da 528 giorni almeno uno tra Cristante e Pellegrini è stato sempre titolare. Qualcosa significa. Si chiama coraggio, che nel momento più basso Juric ha saputo tirare fuori. Lasciare il posto e la fascia di capitano a Mancini, che con lui era arrivato allo scontro più violento, è stato un altro segnale al gruppo: se un giocatore mi serve, lo utilizzo anche se gli ho lanciato una bottiglietta un minuto prima per la rabbia. «Per me sono tutti uguali» sostiene il capo. E ha dimostrato di credere nel principio legalitario per eccellenza.
Ma c’è un altro elemento che colpisce delle mosse di Juric: nella formazione di Roma-Torino sono entrati cinque millennial (Le Fée 2000, Koné 2001, Zalewski 2002, Baldanzi 2003, Pisilli 2004) più due colonne nate nel 1999: Svilar e N’Dicka. Il totale dice sette Under 25 nello stesso momento, nella partita più delicata anche sotto l’aspetto ambientale. Ha funzionato, a conti fatti, aspettando progressi nei meccanismi offensivi. Senza Dovbyk, che sta meglio e spera di esserci a Verona, la giovane Roma che fatica a segnare ha portato a casa i tre punti che cercava quasi disperatamente.
«Questa vittoria non dev’essere un lampo» ha ricordato con equilibrio Juric, che ha superato il primo ostacolo ma ne scorge altri all’orizzonte. A Verona, dove pure il dirimpettaio Zanetti non se la passa benissimo, è obbligato a ottenere altre gratificazioni per allontanare rimpianti e rimorsi. I Friedkin sono lontani, magari un po’ distratti, ma possono intervenire da un momento all’altro, da una partita all’altra.
Domani comincia l’ultima settimana prima della sosta di novembre, che può facilitare il verdetto definitivo: dopo l’Hellas, la Roma vola a Bruxelles per affrontare il Saint-Gilloise e poi aspetta il Bologna all’Olimpico, il salotto per niente accogliente di un periodo surreale. La sensazione filtrata da Trigoria, ripartendo dal decimo posto in classifica e da una postazione europea poco sicura, è che non siano più ammessi passi falsi. Juric, bollato all’origine come se fosse un usurpatore, ha bisogno di estirpare il pregiudizio per immaginarsi un futuro.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida