Un nuovo inizio, chissà se migliore dell’ultimo. Perché dietro c’è sempre una fine, che spesso fa male. Passerà, ma ora c’è da affrontare un altro, ennesimo, primo giorno. Ricominciamo. Un po’ a tentativi, cercando la serenità. Un inizio per Ivan Juric, un inizio per la società dopo la tragedia greca, un inizio per la squadra al terzo allenatore in otto mesi, un inizio per Pellegrini, mai un capitano era stato così fischiato a Roma, un inizio per i tifosi senza De Rossi, uno di loro in campo, quello che ce l’aveva fatta. Si riparte senza la magia collettiva che si respirava entrando all’Olimpico: manca la curva, mancano i cori, mancano gli applausi, manca l’affetto.
Ci sono i fischi assordanti per Cristante e per il capitano, così forti che Juric a fine primo tempo li aspetta nel tunnel per abbracciarli e ricordare loro che anche quelli spariranno, che arriveranno gli applausi e, magari non ora, ma presto, ci sarà un nuovo ennesimo inizio. Ci sono gli striscioni per De Rossi: “Non rispettate i nostri valori”, poco inquadrati dalle tv perché non è bello far vedere il vuoto. E c’è l’ingresso della curva dopo mezz’ora di partita con il repertorio che oscilla tra “tifiamo solo la maglia” e “avete rotto“, coro che si conclude in modo facilmente intuibile. Poi, però, tra una contestazione, un addio, un esonero, c’è la partita, che sembra un dettaglio, un fastidio, ma che fa classifica.
Perché può far male la confusione e la traumatica rottura con De Rossi, ma qualcosa di nuovo si è visto. Anzitutto tre gol, e sono già uno in più di quanti la Roma ne aveva segnati nelle prime quattro partite. C’è la prima vittoria. C’è il controllo del campo. C’è personalità. Nell’azione del primo gol, di Dovbyk dopo neanche 20 minuti, si vede il calcio che chiede Juric. C’è meno giro palla, si va subito alla ricerca del centravanti, Pisilli è il manifesto di questo calcio pensato in verticale: non gioca mai indietro né al lato. Poi le marcature a uomo dei difensori centrali, Angelino che annulla Thauvin seguendolo a tutto campo, lo spirito di sacrificio di El Shaarawy che non si limita a fare decine di volte tutta la fascia ma diventa difensore aggiunto quando serve.
La rete di Dybala su rigore a inizio secondo tempo, e quella finale di Baldanzi, dimostrano che c’è qualcosa di nuovo, almeno tatticamente, almeno finché non arriva la fine della partita, vinta nettamente. Ma all’Olimpico innamorato di De Rossi, travolto dalla poca linearità societaria, non importa. Arrivano i fischi comunque. La rottura è troppo grande, non era ancora il momento per un nuovo inizio, se la fine ha fatto così male.
FONTE: La Repubblica – S. Scotti