Non è tanto la soddisfazione per manifesta superiorità, dagli spalti al campo. Quella è talmente evidente che non vale la pena indugiarci. E non è perché l’uno-due che ha liquidato la pratica è durato otto minuti (una sveltina estendibile a 18’, volendo considerare anche i preliminari). Nemmeno è per la presenza in panchina di Sua Maestà Ranieri, che dal poker servito col quale si è presentato è passato a essere subito Claudio V. (…)
Ma stavolta alcune immagini riescono nel portentoso intento di superarli. Fra tutte: 1) Hummels che dimentica il teutonico equilibrio, mette per qualche istante da parte un’eleganza anche eccessiva per la serata, bullizza tale Taty e si cala nello spirito del match con tanto di balletto. Bolle sì, ma di irritazione altrui. 2) Paredes che tira fuori la garra, di fatto avvia la piccola corrida finale, salvo prendersi beffe di chiunque gli capiti a tiro, col ghigno del matador consumato. Una risata li seppellirà. 3) Dybala che se possibile accresce il tasso tecnico già elevatissimo della propria prestazione nell’attimo in cui abbandona il campo: quel saluto sa tanto di «Ciao ‘nvidiosi». Note vintage: musica, maestro. 4) Le rosicate di là. Sempre un piacere. Non a caso provocate dai tre monumenti di marchio imperiale.
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Problemi loro. Da questo lato non ci sono dubbi, né strane commistioni alla ricerca di identità perdute o mai trovate. C’è un Noi che porta nome, colori e simbolo della Città Eterna. Dopo averli puniti in campo, Capitan Pellegrini ne ha sventolato effigie e fondatore a fine partita. Paulo ha ribadito il concetto, conosciuto perfino dall’altro lato del globo: «Roma si chiamerà sempre Roma», sic et simpliciter. Definitivo.
C’è però anche un altro-da-noi, sintetizzato in modo sublime dalla coreografia della Sud. Non ci piace ma esiste. L’importante è tenerlo ben distinto e distante. Due incroci l’anno sono anche troppi. Ma per favore non chiamatelo derby.
FONTE: Il Romanista – F. Pastore