De Rossi è un tutt’uno con la squadra che allena, parole e musica di Davide Ballardini a fine partita, quando il tecnico del Sassuolo ha riconosciuto ciò che è plasticamente visibile a chiunque venga ad affrontare la Roma in questo periodo. Ieri un altro esame superato, quello della partita moscia del postcoppe: Sassuolo saltato di misura, quinto posto consolidato, ennesimo sigillo del capitano Pellegrini che in mancanza di Dybala e senza le scintille che l’argentino sa regalare ha messo le cose a posto da solo, segnando un gol bellissimo che ha scansato l’incubo della mancata vittoria.
E dunque si possono fare un po’ di conti, dopo due mesi di De Rossi: tredici partite ufficiali, nove di campionato con sette vittorie, un pareggio a Firenze e una sconfitta con l’Inter, quattro di coppa con due qualificazioni consecutive al turno successivo (due pareggi, una vittoria larga e una sconfitta di misura).
Ce ne sarebbe abbastanza per richiedere immediatamente il rinnovo (pluriennale) del contratto, ma Friedkin ha i suoi tempi: è sicuramente un buon segno, però, che ieri sia arrivato allo stadio sul pullman della squadra al fianco di De Rossi. E alla fine se n’è andato via soddisfatto: gli va dato atto della scelta felice che ha spazzato via tutte le ombre dell’esonero di Mourinho. Ieri l’ennesima conferma, per la prestazione della squadra che ormai è tutt’uno con l’allenatore.
Diciamo che ciò che è venuto veramente male nella serata è stato il famigerato “approccio alla gara”, quel totem di imponderabilità che da sempre accompagna come un incubo le notti di ogni allenatore. Hai voglia a preparare le partite con attenzione, hai voglia a urlare in allenamento, hai voglia a presentare video motivazionali e esercitazioni divertenti, hai voglia a far vivere la gara sulla lavagna tattica alla vigilia chiedendo intensità qui e attenzione lì, poi fischia l’arbitro e la squadra si dimostra una pappetta molle nelle mani di un bambino, uno slaim senza mai una forma che si allunga e si ritira sul campo mai trovando un criterio razionale a plasmarla.
De Rossi aveva presentato sei giocatori nuovi rispetto alla sfida di Brighton pensando in questo modo di esorcizzare il rischio dell’inevitabile rilassamento dopo una serata comunque di gloria per quello che ha significato in termini di qualificazione. Così in difesa i cambi erano al 50%, con Karsdorp e Llorente inseriti al fianco di Mancini e Spinazzola (che al 37’, con il curriculum di serata caratterizzato da un solo cross, ha alzato bandiera bianca lasciando spazio ad Angeliño), in mezzo al campo al 33% (dentro Paredes al posto di Bove, confermati Cristante, nella versione liquida delle serate peggiore, e Pellegrini, che invece almeno l’anima ce l’ha messa), e davanti al 100%, con Aouar al posto di Dybala (Baldanzi non al meglio ha atteso il suo turno in panchina), Lukaku al centro riposato e fresco, ed El Shaarawy al suo posto di centrosinistra.
In più la piacevole novità di Abraham inserito nella lista gara in panchina 287 giorni dopo l’infortunio, ovviamente senza alcuna chance di poter essere coinvolto. Eppure in campo niente di niente, pochissime iniziative personali, zero guizzi, dribbling neanche uno, e solo un lunghissimo tran tran di palleggio lento e spesso errato, con Karsdorp, Aouar e Cristante protagonisti negativi degli errori.
Eppure di fronte non c’era il Brighton a giocarsi il tutto per tutto, ma un Sassuolo in versione generosamente offensiva solo nell’atteggiamento tattico, perché poi praticamente per tutto il primo tempo non ha portato attacchi di nessun tipo alla porta di Svilar e invece ha permesso alla Roma di trovare spazi generosi che però non sono stati sfruttati. Ballardini aveva scelto un pretenzioso 4-3-3, con Pedersen, Erlic, Ferrari e Viti davanti a Consigli, con un centrocampo a tre con Racic e Matheus Henrique mediani e Obiang in regia, e con Defrel e Laurienté alle spalle di Pinamonti.
Nel taccuino alla fine sono rimasti i ricordi di pochissime occasioni: quella già citata al 5’, con un cross di Spinazzola deviato non benissimo da Lukaku pressato, e poi un mucchietto di pericoli creati nel finire del tempo: con una punizione di Pellegrini da sinistra ben calciata verso il secondo palo, con il tentativo di sponda di testa di Llorente respinto in area, un successivo cross ancora di Pellegrini stavolta da destra a trovare Lukaku senza marcatore (era sfilato efficacemente alle spalle di Ferrari), ma incerto nella conclusione a differenza di prima solo per sua colpa (deviazione larga), e infine un altro cross stilisticamente bellissimo di Angeliño (quell’esterno collo che sta diventando il suo marchio di fabbrica) ancora verso Lukaku, anticipato di un soffio.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco