Quando il risultato di una partita equilibrata, con occasioni da entrambe le parti, è di parità può capitare che ci siano visioni difformi sia nella valutazione del comportamento delle squadre sia in rapporto alle singole prestazioni. Roma-Juventus non sfugge a questa logica e nei commenti del giorno dopo giornalisti e tifosi si sono divisi a suon di iperboli.
Senza riportarvi la rassegna del festival delle disparità proviamo però ad isolare alcuni aspetti (pochi, per chi scrive) negativi e quelli (molti di più) positivi. Cominciando nell’analisi delle cose che non hanno funzionato, ancora una volta la Roma si ritrova alla fine di una partita il fardello di un numero di conclusioni verso la porta sempre troppo alto (16).
È evidente che qualcosa non funziona bene nei meccanismi difensivi di una squadra che per incassare pochi tiri non può far altro che difendere con il blocco basso, essendo piuttosto limitato il dinamismo e il conseguente raggio d’azione soprattutto sulla propria tre quarti dei centrocampisti a disposizione di De Rossi (altrimenti si potrebbero intensificare le pressioni e si potrebbe difendere meglio anche lontano dalla porta), a maggior ragione quando la squadra si sbilancia in avanti ed è costretta a difendere in transizione.
Lo abbiamo sostenuto tante volte, certamente non solo noi de Il Romanista: la composizione strutturale del centrocampo giallorosso con Cristante e Pellegrini e il contributo, di volta in volta, dei vari Pastore, Sergio Oliveira, Matić o, adesso, Paredes, al netto delle valutazioni che di giocatori così diversi si possono dare, presenta precisi limiti riconducibili proprio alle caratteristiche atletiche e strutturali di chi compone il reparto.
Sin dai tempi di Di Francesco, insomma, il baricentro della squadra spostato in avanti ha sempre portato come conseguenza il fatto di apparire troppo vulnerabile alle ripartenze avversarie. De Rossi vorrebbe cambiare questa caratteristica, ma per farlo dovrà forse cambiare la squadra. Nella sua storia recente la Roma ha subito un po’ meno solo in alcuni periodi con Mourinho quando ha abbassato decisamente il proprio baricentro rinunciando però sistematicamente ad una brillante fase offensiva.
Detto questo, nei momenti in cui la Roma ha sofferto contro la Juventus, è emersa una volta di più l’incapacità romanista di fronteggiare con puntualità le ripartenze soprattutto nei momenti in cui grazie alla qualità del proprio palleggio gli juventini riuscivano ad uscire dalla prima zona di pressione attaccando nelle parti più scoperte.
Quanto alle singole prestazioni è inutile specificare ulteriormente le valutazioni che questo giornale ha dato quando comunque i voti vengono spiegati in maniera così analitica nelle pagelle di Fabrizio Pastore. Ognuno è libero di valutare un giocatore come meglio crede, ma ritenere Dybala il peggiore in campo, o giudicare negativi i cambi di De Rossi quando anche Allegri ne ha riconosciuto l’efficacia (per questo ha cambiato sistema di gioco nel secondo tempo…) solo perché Abraham non ha trasformato il prezioso assist di Azmoun (a sua volta imbeccato da Bove…), ci sembra tutto fuorché una valutazione oggettiva.
La cosa che ci sembra più positiva in assoluto della serata di domenica è l’individuazione di un approccio diverso dal punto di vista tattico che potrebbe ulteriormente sbilanciare la Roma ma in realtà le garantisce di sicuro maggior equilibrio in fase di non possesso. Proviamo a spiegarci.
Il problema fondamentale dell’approccio in fase di non possesso della Roma di De Rossi (ma valeva anche per Mourinho, con diverse gradazioni di differenza determinate dalla scelta strategica dell’allenatore portoghese di non alzare troppo le proprie pressioni) nasce essenzialmente dall’impossibilità di richiedere a Dybala un contributo continuo nella marcatura dei giocatori avversari. Mourinho, infatti, aveva risolto la questione lasciando solo lui e Lukaku davanti e chiedendo agli altri otto giocatori di difendere basso a difesa della porta. Dal giorno in cui è arrivato,
De Rossi ha schierato la squadra con un sistema differente, togliendo un difensore e aggiungendo un attaccante. Nella prima partita con il Verona, come dovrebbe accadere per ogni 433 che si rispetti, Daniele chiese a Dybala di coprire le avanzate del terzino avversario, facendogli terminare la partita con largo anticipo, in debito d’ossigeno.
E di fronte aveva Cabal, non certo Theo Hernández. Da quel giorno Ddr ha ritenuto di dover sollevare l’asso argentino da tale incarico e ha cominciato a ragionare su una Roma schierata lo stesso con tre punte ma con un meccanismo difensivo capace di fare a meno della funzione di copertura dell’esterno destro d’attacco.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco