Per uscire dai momenti difficili, tosti, contano tre elementi: autostima, talento, personalità. Lorenzo Pellegrini ha la fortuna di possedere tutti i requisiti necessari (e forse sufficienti) di un calciatore importante. Il problema è che non riesce più a tenerli insieme, perché si è infilato nel buio di un puzzle in cui gli incastri sembrano impossibili. Le parole di Juric, nell’intervista al Corriere dello Sport, possono spingerlo verso l’aria calda della serenità. Ma poi è il campo, come ben sa Pellegrini. il giudice supremo.
La cassazione prima di ogni grado di processo. La definizione della verità incontrovertibile. Mai aveva vissuto un momento così, da quando ha scelto di tornare alla Roma rinunciando a un contratto molto superiore che gli aveva offerto il Milan. Era il 2017, era un desiderio di giovinezza che non poteva tenere conto dei soldi.
A sette anni di distanza, anzi meno, Pellegrini si ritrova con la fascia da capitano al braccio, quella che non si porta solo la domenica in partita ma tutta la settimana tutto l’anno, al minimo storico dell’indice di consenso popolare. E per complicarsi la vita, o forse per rendere più affascinante la risalita, ha provocato un casino in Nazionale, facendosi espellere sul 2-0 di una partita dominata per un fallo da dietro. Guarda caso – ma magari non lo è – all’Olimpico, dove si sta abituando a ricevere bordate di fischi ogni volta che sbuca dal sottopassaggio.
Cosa si chiede davvero a Pellegrini, perché entri nel cuore della gente? Non gli basta giocare bene al calcio, o “muoversi da dio”, come ha detto Juric smuovendone l’orgoglio. Lorenzo ha già fatto grandi partite e buone stagioni, persino e soprattutto con Mourinho, con il quale il feeling si è sbriciolato nell’ultimo anno fino al tormentato esonero.
Se il suo torto è non essere forte abbastanza da meritare uno stipendio da sei milioni, bisogna domandare all’ex direttore generale o al presidente come mai la Roma abbia aspettato fino a pochi mesi dalla scadenza per trattarne il rinnovo del contratto. Se la sua colpa è non avere il dono della leadership romanista, né tecnica alla Totti né carismatica alla De Rossi, è opportuno rassegnarsi alla realtà più elementare e nostalgica: ognuno ha la propria storia e le proprie possibilità.
Ma siccome al cuore non si comanda, Pellegrini può percorrere due binari paralleli verso la riconquista di una genuina popolarità: ricominciare a giocare con tranquillità, erogando le conoscenze tecnico-tattiche che ha acquisito negli anni, e mostrarsi di più per ciò che è anche a livello mediatico. Il calciatore oggi non è soltanto un atleta ma anche un’azienda: per essere vincente deve anche esporsi nei momenti giusti, rappresentare un punto di riferimento che ne sostenga l’immagine.
Domenica intanto, con Dybala di nuovo a fianco, potrà rispondere giocando alle critiche e al malcontento. All’Inter ha già segnato due gol, uno dei quali molto bello con la maglia della Roma all’Olimpico in tempi di Covid, e nello scorso campionato creò i due assist che illusero De Rossi nel primo tempo. Alla ricerca del primo sorriso stagionale, dentro a una squadra che fatica dannatamente a segnare, Pellegrini ha l’occasione di resettare il sistema per rilanciare la corsa alla Champions: lui è uno di quelli che non la giocano da troppo tempo, sei stagioni ormai, e ha bisogno di riprendersela il prima possibile.
FONTE: Il Corriere dello Sport – R. Maida