Ci sono indubbiamente degli aspetti positivi nella vittoria della Roma a Udine ed altri meno positivi ed è un gran vantaggio per l’allenatore poterli analizzare con serenità, come sempre succede dopo una vittoria. L’unico errore irrimediabile che si potrebbe commettere potrebbe essere quello di bearsi della vittoria senza analizzare le difficoltà che la partita ha palesato e, dunque, non porvi rimedio.
Partiamo dunque, per una volta, proprio dalle cose che non hanno funzionato e che hanno rischiato di compromettere un risultato fondamentale nel cammino della stagione (anche in virtù dei risultati di qualche concorrente diretta). In sintesi sono queste: la mancanza di proposte offensive efficaci studiate in allenamento; un’attenzione che deve essere diversa sui calci piazzati degli avversari; una chiarezza di fondo sul sistema di gioco (anche ibrido) che si vuol portare avanti; e, soprattutto, l’innalzamento della soglia agonistica, senza la quale oggi nessuna squadra riesce a portare a casa risultati, citofonare Conte.
L’equivoco tattico di fondo, a parere di chi scrive, deriva dalla scelta di puntare sulla difesa a tre e quindi, su un’organizzazione tattica che prevede l’inserimento “lungo” degli esterni sulla fascia, senza quell’imprevedibilità che un sistema con due terzini e due esterni di ruolo garantisce nello sviluppo delle manovre per una questione anche semplicemente “geografica” di occupazione degli spazi. Le squadre che sfruttano meglio in Italia questa concezione tattica sono indubbiamente l’Atalanta e l’Inter, formazioni che, per struttura muscolare e dinamica una e per superiori qualità tecniche l’altra, riescono a giocare la maggior parte del tempo nella metà campo avversaria e questo consente agli esterni di rimanere sempre molto alti, sviluppando gioco come fossero delle ali aggiunte.
Questo, per esempio, non avviene nella Roma. Quasi sempre lo sviluppo offensivo della squadra giallorossa avviene per vie centrali, in base soprattutto all’estro di Dybala, e si cerca la rifinitura da e per la fascia solo arrivando in corsa per sfornare cross che senza la qualità di Saelemaekers risultano il più delle volte inadeguati. Così Ranieri ha adattato un sistema ibrido che è sembrato più azzardato nel secondo tempo di Udine, quando Zalewski è entrato nell’improbabile ruolo di braccetto di destra della difesa a tre e quando è apparso dunque chiaro che quasi naturalmente il dispositivo tattico sarebbe “scivolato” verso l’allargamento del polacco sulla destra, con El Shaarawy che di fatto diventava un’ala e con Pellegrini che dall’altra parte avrebbe dovuto svolgere il ruolo di centrocampista esterno di sinistra, abbassando Angeliño alla funzione di terzino. Un 352 con gli attaccanti in verticale, che dunque assume facilmente le sembianze di un 4231, ma sempre con la posizione spuria di Pellegrini che attaccante esterno non è. Il problema è che il tempo di lavorare troppo nel dettaglio su questi cambi di sistema non ce n’è e probabilmente Ranieri non è neanche il tecnico che crede molto in questi metodi. Così un po’ di confusione diventa inevitabile.
Un punto debole della Roma anche quest’anno sono le reti subite su calcio piazzato. Al momento sono sette, peggio hanno fatto solo Lecce, Verona, Torino e Cagliari. Sono anni, ormai, che la Roma sui corner degli avversari si piazza a uomo, anche se non sempre con la dovuta attenzione. La varietà degli schemi offensivi adottati dagli allenatori è però tale ormai che diventa semplice cogliere di sorpresa con blocchi e inserimenti improvvisi le squadre che si schierano con marcature individuali e che non hanno magari nell’interpretazione quella carica agonistica necessaria a uscire indenni di fronte a una proposta ben realizzata. Stessa cosa sulle punizioni.
A Udine, nel primo tempo, la Roma non è stata efficace in tre punizioni su tre, o lo è stata parzialmente. Va premesso che sui calci piazzati laterali magari lontani dall’area, come appunto contro l’Udinese, come tutte le squadre del mondo, la Roma si schiera in linea con posizioni pre assegnate. Ma sta di fatto che in un’occasione Kabasele è sfuggito a Celik e solo un intervento estemporaneo di Mancini ha contenuto il danno, in un’altra Karlstrom è riuscito a prendersi un vantaggio su Koné, senza però dare forza alla sua conclusione, e nell’ultimo Lucca, ignorato da tutti, è riuscito a fare gol.
Marcare con maggiore attenzione significa per l’appunto che l’attaccante più pericoloso della squadra avversaria va seguito, anche in uno schieramento in linea a zona, con il tuo miglior difensore. Anche su questo, Ranieri ha parecchio da lavorare.
PER TERMINARE DI LEGGERE L’ARTICOLO CLICCARE QUI
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco