Uno dopo l’altro, i passaggi a livello si alzano come per magia, scrive. La Roma è un treno ad alta velocità che salta tutte le stazioni intermedie, come si fermerebbe invece un Intercity (magari di fabbricazione portoghese, suggeriscono i maliziosi). Alla guida della locomotiva, lanciata in campionato verso la Champions e in Europa League verso i quarti, c’è lui: più che mai, Daniele De Rossi. Il vero Special One romanista, il vero genio della sfida col Brighton dell’alter ego De Zerbi, capace com’è di viaggiare in A con la media da scudetto di 2,6 punti a partita e in Europa con un analogo trend di 2,6 gol a gara: numeri ormai superiori per importanza al suo illustre predecessore in panchina, José Mourinho (1,5 punti e 1,7 reti).
Quant’è speciale DDR lo dicono innanzitutto i tifosi, ammaliati dal carisma del nuovo allenatore, barbuto e con i suoi occhi intrisi di furore agonistico. Ma lo dice soprattutto la contabilità da “10 e lode” di un percorso di 50 giorni rapido e convincente: in 10 gare solo una sconfitta con l’Inter.
Per nulla sopraffatto dalla potenziale grandezza della sua fama, De Rossi si è preso ormai la copertina puntando sul gioco e su una Roma versatile e coraggiosa, che gioca con 4-3-3 di base, ma che cambia spesso anche in partita: con il 4-2-3-1, il 3-5-2, il 5-4-1, il 4-1-4-1 o il 3-4-2-1.
Una conferma del calcio moderno di DDR, che impiega 5 giocatori in ogni situazione offensiva con una regolarità, un fraseggio e continue verticalizzazioni che non appartenevano alla squadra di Mou: i tre del tridente, la mezzala offensiva (Pellegrini) che spesso si alza quasi in posizione di trequarti e uno dei due terzini che si sovrappone e diventa un attaccante aggiunto: soprattutto Spinazzola a sinistra, che attraversa un ottimo momento di forma e sa fornire cross col contagiri.
Ma è non solo la fase offensiva il valore aggiunto di questa Roma. Tutti hanno compiti difensivi, compresi Dybala e Lukaku. Che rincorrono i portatori di palla anche nei minuti finali, quando la stanchezza si fa sentire. E non sarà difficile, anche per i più distratti, trarre a questo punto la morale: che una squadra è veramente tale solo se è completa; che il talento non è un salvacondotto che esenta dal sacrificio e che nel calcio moderno di DDR sei perdente se non fai entrambe le fasi.
E su quel treno dei desideri in corsa, peraltro, sono saliti tutti. Chi era già a bordo, come i Paredes (migliore in campo col Brighton), gli El Shaarawy e i Pellegrini, è diventato preponderante e ha aumentato il proprio valore di mercato. Chi è salito in seguito ha trovato dopo Mou una redenzione calcistica inattesa, basti pensare a Svilar, diventato portiere di livello internazionale, e a Celik.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – A. D’Urso