Secondo Svilar è il Dio del calcio a non volere che in certe partite la palla entri nella porta avversaria, ma quando vi proponiamo statistiche come quelle che avete potuto leggere nelle pagine precedenti sulla ripetitività di certi risultati probabilmente c’è poco da appellarsi alle divinità. Più semplicemente è una “questione di qualità” come abbiamo significativamente titolato nell’edizione del Romanista di ieri.
Dal punto di vista tattico, negli ultimi anni la Roma ha affrontato l’Inter di Inzaghi alla maniera di Mourinho, poi con De Rossi, domenica con Juric. La costanza è nelle vittorie nerazzurre, ma anche nei volenterosi e inefficaci tentativi operati dagli allenatori rivali. Juric, come detto, è stato solo l’ultimo a provarci, con il suo controgioco fatto di duelli individuali che a volte però devono prevedere dei meccanismi di scalatura che ovviamente devono ancora essere perfezionati e che permetterebbero di evitare troppi metri di corsa all’indietro lasciando inevitabilmente sgombre tante zone di campo.
È quello che era accaduto all’inizio della gara con l’Inter e che l’allenatore ha immediatamente provveduto a correggere. Nello scacchiere tattico iniziale, infatti, Juric aveva disegnato la sua squadra tenendo quattro difensori sui due attaccanti centrali e sui due esterni dell’Inter, secondo questi duelli: Celik con Dimarco, Mancini con Lautaro, Ndicka con Thuram, Angeliño con Darmian. In mezzo Cristante e Koné si occupavano rispettivamente di Barella e Mkhitaryan, Pellegrini oscurava le linee di passaggio su Calhanoglu e davanti Zalewski si orientava nelle zone di Pavard, Dovbyk su Acerbi e Dybala su Bastoni.
Ma Angeliño per andare in pressione era costretto a corse in avanti e poi all’indietro di 50 metri, mentre Zalewski aveva poco da fare sul difensore francese, assai più statico, mentre dall’altra parte per Dybala si prospettava una serata tatticamente complicata viste le capacità di inserimento dell’azzurro. Dopo 15 minuti di scorribande interiste, approfittando anche del cambio cui è stato costretto Inzaghi (fuori Calhanoglu, dentro Frattesi, con Barella spostato in posizione da play ), Juric ha abbassato Zalewski su Darmian e chiesto ad Angeliño di occuparsi di Barella, alzando Cristante a schermare le rare iniziative di Pavard.
Questo ha riequilibrato la densità nella metà campo romanista e ha consentito alla Roma di evitare di lasciare quegli spazi nei quali l’Inter con la qualità dei suoi giocatori si muove in maniera sopraffina. Simbolica, in questo senso, l’azione culminata con la traversa di Mkhitaryan: Sommer ha colto la momentanea libertà di manovra di Bastoni in mezzo al campo e lo ha servito con un passaggio rasoterra di 30 metri, il difensore non ha neanche stoppato bene il pallone su cui si è comunque avventato Lautaro che di prima ha lanciato Thuram nello spazio: due passaggi e l’Inter era in porta. Poi Ndicka ha respinto, e sul tap-in l’armeno ha sfiorato il gol del vantaggio, ma il campanello d’allarme è risuonato forte.
Dopo l’aggiustamento la Roma in campo si è presentata in maniera più simile al 3421, a conferma del fatto che per Juric non conta tanto il sistema di gioco quanto l’efficacia delle contrapposizioni sullo schieramento avversario. Restiamo convinti, però, che sia una filosofia di gioco con precisi limiti di espressività. Non è forse solo un caso che le ultime tre partite giocate da Juric contro i campioni d’Italia siano finite più o meno tutte allo stesso modo: primi tempi gagliardi, con contrapposizioni efficaci e oggettiva limitazione del potenziale offensivo avversario, secondo tempi sbloccati con una prodezza e poi quel senso di disagio e di impotenza che ti impedisce anche solo di sognare di poter indirizzare la partita.
È il limite di chi pensa di calibrare le sue forze su quelle degli avversari. Anche domenica la Roma ha cambiato diverse volte la sua forma tattica, dal 4231 iniziale, al 3421 dopo un quarto d’ora per tornare al 4231 nell’assalto finale, quando ha prevalso la generosità propositiva dei giocatori in campo più che la necessità di controllare gli avversari: e va detto che è andata molto più vicino l’Inter al raddoppio che la Roma al pareggio. Una questione di qualità, appunto.
Restano poi grandi perplessità anche quando analizzi la situazione dal punto di vista individuale perché non sempre le scelte sulle marcature aderiscono perfettamente alle caratteristiche psicofisiche e dinamiche degli avversari. Quali vantaggi può darti costringere un giocatore fisicamente fragile come Dybala a rincorse continue nella propria metà campo? È capitato per contenere il proprio avversario diretto (nello specifico Bastoni), o per coprire falle altrui, come ad esempio nel gol dei nerazzurri, su cui forse significativamente c’è proprio il sigillo dell’argentino, con la sua deviazione di schiena sul decisivo tiro di Lautaro. A precisa domanda nel post partita, Juric ha fatto riferimento a mancati meccanismi di scalatura che avrebbero consentito a Paulino nostro di evitare tutte quelle corse.
La sensazione, confermata anche quando gioca l’Atalanta, è che certi difetti non si risolvono con il tempo. Se poi parliamo di Dybala, è quasi inevitabile che tatticamente il problema si ponga. Lo ha avuto anche De Rossi, che ha provato ad adattare l’argentino nel suo 433, ma dopo la prima partita in cui costrinse Paulo a correre dietro al terzino veronese (oggi alla Juventus) Cabal, cambiò idea e cominciò a pensare ad una Roma tatticamente in grado di supportare Dybala in fase di non possesso senza sfiancarlo in inutili rincorse. Questione di tempo, certo: quello che De Rossi non ha avuto e che ora giustamente spetta a Jurić.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco