Nel report che ogni anno la Federcalcio presenta al pubblico, i conti del calcio sono divisi in due: il fatturato totale e il fatturato senza plusvalenze. La parola magica del mercato: il tappeto sotto cui il calcio italiano nasconde il rosso della propria gestione, contraltare indispensabile ai costi in continua crescita delle squadre attanagliate da un “rosso” di 200 milioni l’anno e 4 miliardi di debiti.
Un business da 700 milioni Tra il 1° luglio 2018 e il 30 giugno 2019, i club di Serie A hanno fatto registrare qualcosa come 717 milioni di plusvalenze. Oltre un terzo della cifra l’hanno prodotta due club soltanto: Juventus e Roma, rispettivamente con 113 e 132 milioni, che nel bilancio appena chiuso frutteranno una vera e propria boccata d’ossigeno. E non è un caso: la Juventus è il club che spende di più per pagare gli stipendi ai propri tesserati, la Roma è tra quelle che spendono di più sul mercato, appesantendo il bilancio di costi altissimi per i cartellini.
D’altronde, più vendi, per lucrare plusvalenze, più dovrai comprare. Più compri, più appesantisci i conti. Un circolo vizioso che si autoalenta fino a che la bolla non esploderà. Pure il Napoli, che nel 2018 aveva chiuso con soli 6 milioni di passivo, ha prodotto quest’anno 86 milioni di plusvalenze. Lo “scambificio” La via naturale della plusvalenza è il sacrificio tecnico di un gioiello del club: indebolisci la squadra ma salvi i conti. Ci sono però altri metodi per ottenere gli stessi benefici a bilancio senza depauperare la rosa. Uno è lo scambio.
L’altro è la cessione e il futuro riacquisto di uno stesso giocatore. Soltanto in questo mercato estivo, i club hanno scambiato calciatori per un valore totale di 150 milioni. Spinazzola a Roma e Luca Pellegrini a Torino, Manolas a Napoli e Diawara a Roma, Brazao all’Inter e Adorante al Parma, Sala al Sassuolo e Sensi in nerazzurro, Lazzari alla Lazio e Murgia alla Spal. Di questo mare di quattrini però si sono mossi realmente soltanto 40 milioni. In pratica, un euro su 4 è stato speso davvero. Il paradosso è Sensi, il cui prestito è stato coperto interamente da un ragazzino come il 20enne Marco Sala, 34 presenze in C con l’Arezzo nell’ultimo anno.
Lo scorso anno i nerazzurri fecero lo stesso per Politano e al Sassuolo andò Odgaard, la Roma ricalcò l’operazione per Cristante. L’impegno al riacquisto Quella della cessione dei ragazzini per sistemare i conti è una prassi all’Inter: dal 2014 a oggi, i nerazzurri hanno messo a bilancio 121 milioni di euro di plusvalenze vendendo prodotti del vivaio. Un unicum permesso dai risultati delle formazioni giovanili (24 titoli in 9 anni) ma anche da una rete di rapporti consolidata. Che permette operazioni come quella che ha portato al Genoa Pinamonti in cambio di 18 milioni. Il Genoa li verserà obbligatoriamente tra un anno ma a bilancio vanno subito.
E a margine del contratto, si parla apertamente di un “impegno” a riacquistare il calciatore entro due anni (se nel frattempo il Genoa non l’avrà rivenduto) a una cifra leggermente superiore. È già successo con Dimarco (andata e ritorno dal Sion), Gravilon (triangolato tra Benevento e Pescara) e Radu, proprio col Genoa. Il ragazzo ha mosso in due anni 28 milioni per andare e tornare: giocherà in prestito ai rossoblù.
La “recompra” modificata La tecnica è stata per un anno legittimata da una norma della Federcalcio: la famosa recompra, sul modello spagnolo, che permette al club, quando cede un calciatore, di fissare già il prezzo per riacquistarlo. La Figc ha fiutato l’aria e ha modificato la norma: ora la cessione con recompra non produce benefici finché non c’è l’esercizio o la rinuncia al diritto. E la recompra, misteriosamente non la utilizza più nessuno.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci