Il genio di Lev Tolstoj era riuscito a entrare nel cuore di tutto con una frase: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo“. La Roma di questi giorni non assomiglia affatto a quelle descritte in “Anna Karenina”, ma a un popolo in festa che vede scritto in cielo il proprio imminente ritorno al trionfo.
Tutto questo per merito di Mourinho, che in carriera si è dimostrato in grado di far lievitare quasi sempre i club con cui ha lavorato. Non con tutti, però, il feeling è stato così unico come quello che si è creato con i romanisti. Per questo José ha parlato di “famiglia” non come luogo comune, ma commosso e sincero come non mai. È se lui è il padre che dispensa rimbrotti e carezze, Mamma Roma è l’altra metà del cielo. Quella che pare un mantello che avvolge il sogno giallorosso. Ma c’e bisogno anche dei figli.
Le buone norme di conduzione familiare raccomandano di non fare distinzioni affettive fra i figli. Ma non si può non notare che il rapporto fra Mourinho e Abraham appare speciale sotto diversi punti di vista. In fondo lo stesso attaccante lo ha descritto così: “Per me Mou è come un padre“. A inizio stagione, l’investimento di 40 milioni strappato ai Friedkin (in parte extra-budget), sembrava un azzardo. Per giunta, ci è voluto tutto il “savoir faire” di José per convincere un giocatore che non sembrava sicuro di voler abbandonare il campionato più bello del mondo. Ma Mourinho aveva ragione, e Abraham glielo ha dimostrato, segnando finora 25 gol complessivi.
Chi ha esperienza di affollamenti casalinghi, sa che talvolta i genitori si affidano ai figli più maturi perché facciano rispettare le regole a tutti grazie all’esempio. Se vogliamo, Lorenzo Pellegrini è una sorta di paradigma di questo. A inizio stagione Mourinho, dopo averlo valutato, lo ha confermato capitano, e non solo per il valore aggiunto che può portare in quanto romano e romanista. Adesso, mentre sta volgendo al termine una stagione che lo vede a un passo dal guidare i giallorossi a una finale europea dopo 31 anni (l’ultimo fu Giannini in Coppa Uefa) e alla caccia di un trofeo che manca da 14 anni (l’ultimo capitano a fregiarsene fu Totti), c’è anche una questione strettamente personale. Pellegrini, infatti, ha segnato anche come mai in carriera: 13 gol attivo e tante giocate decisive.
Piano con gli accostamenti fra genio e sregolatezza. Se il talento inserisce di diritto Nicolò Zaniolo fra coloro a cui gli dèi del calcio hanno riservato un ruolo da predestinati, l’attaccante giallorosso di sicuro non si tira mai indietro quando a Trigoria c’è da lavorare. Nella metafora familiare, però, il ragazzo sembra aver ricoperto suo malgrado il ruolo del figlio discolo, che qualche volta è finito a letto senza cena perché non perfettamente “allineato” al gruppo. Ritrovare il miglior Zaniolo sarebbe l’arma vincente per qualsiasi obiettivo la Roma voglia prefiggersi.
Sino a febbraio sembrava solo il cucciolo di casa. Il figlio piccolo a cui regalare qualche spicciolo o qualche caramella quando faceva “cose da grandi”. Da febbraio in poi, però, la considerazione per Nicola Zalewski è decollata. Il ventenne pieno di talento, che sembrava dover lievitare solo sulle zolle dell’attacco, grazie a papà Mourinho – che non a caso lo chiama «il bambino» – si è trasformato, diventando un moderno difensore di fascia sinistra, in grado di curare la fase di non possesso ma, soprattutto, di spingere ogni volta che può, e con risultati devastanti.
FONTE: La Gazzetta dello Sport – M. Cecchini
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