Può darsi che siano ancora tutti lì, la squadra stravolta in mutande con De Rossi in t-shirt e la Sud in delirio, gli uni di fronte agli altri, come una cosa sola. La Roma ha riaddrizzato il corso della storia ponendo fine al miniciclo sfortunato con quattro partite consecutive senza segnare (tre sconfitte e un pari) rimettendo la Lazio al (suo) posto con un gol di Mancini a fine primo tempo, poi difeso in una finale testaccino, chiuso da due assurde punizioni calciate dalla Lazio tremolante e poi finito nel tripudio della nostra gente, con Mancini che è rimasto da solo alla fine a sventolare un bandierone che colora da sempre la Curva con un topo su sfondo biancoceleste, e poi è andato a fare le interviste facendosi prestare i pantaloncini da Pellegrini, per poi tornare con tutta la squadra e con De Rossi un’altra volta in un tripudio che forse dura ancora, come il vento che ha ripreso a soffiare.
In un colpo solo la Roma s’è ripresa i punti lasciati a Lecce, ha avvicinato il Bologna oggi impegnato a Frosinone(daje Difra), ha allontanato la Lazio a nove punti e ha messo le basi per preparare al meglio la sfida di Europa League di giovedì a Milano. La Roma aveva chiuso il primo tempo già in vantaggio grazie allo splendido stacco di testa di Mancini sul corner di Dybala al 42’, con Romagnoli che nell’occasione ha ricordato le amnesie di Nesta con Delvecchio (e Tudor all’intervallo lo ha tolto).
Così era stata spostata l’inerzia di una gara che si stava trascinando stancamente con un canovaccio piuttosto chiaro sin dalle prime battute: Roma in possesso e in gestione prolungata del palleggio (55% di possesso palla) e col baricentro più alto, Lazio più cauta e pronta a sfruttare incertezze e ripartenze con le incursioni ficcanti di Isaksen e Kamada, scelti un po’ a sorpresa da Tudor per guardare le spalle di Immobile, a sua volta preferito a Castellanos. Forse neanche De Rossi avrebbe fatto scelte tanti audaci se gli avessero chiesto di decidere lui anche gli avversari da mandare in campo.
Con Zaccagni out per squalifica, la rinuncia allo spagnolo è sembrata un regalo di Tudor ai romanisti anche se poi il croato un piano preciso se l’era fatto, tentando di mettere la sfida su una serie di duelli individuali da vincere per ripartire in velocità: e qualche volta i laziali l’occasione se la sono creata anche se è mancata loro proprio la rifinitura più giusta, gesto tecnico in cui Luis Alberto eccelle.
La forma tattica è stata comunque chiara: 3 difensori (Casale, Romagnoli e Gila), Marusic e Felipe Anderson sulle fasce (col terzino ovviamente pronto a scivolare sulla linea a 4 prima del più tecnico brasiliano), Guendozi e Vecino in mezzo al campo e quello strano tridente, su cui De Rossi ha fatto scelte consequenziali, chiedendo ad Angeliño il sacrificio di chiudersi a tre in marcatura su Isaksen e a El Shaarawy di abbassarsi a coprire su Marusic, con Mancini di fatto centrale di tre e quindi dedicato alla marcatura di Immobile mentre Llorente finiva spostato sulle tracce di Kamada che poi quando si abbassava veniva preso da Paredes, mentre Celik puntava a tenere basso Felipe Anderson sulla fascia destra.
In mezzo, con la regia dell’argentino, anche l’infaticabile Cristante (pronto ad andare in pressione in prima battuta su Gila e a chiudere i varchi che poi potevano aprirsi sulle mancate chiusure in sincronia tra Celik e Llorente nel centrodestra) e Pellegrini, non sempre ispiratissimo, ma pronto a fare il suo dovere fino in fondo, da capitano.
Davanti il tridente storto, con El Shaarawy a coprire la fascia, Lukaku a farsi carico del peso dell’attacco e Dybala a svariare dove lo portava l’estro, quasi mai largo in fascia, occupata più spesso da Celik. Sono i sistemi di gioco fluidi del calcio moderno: 433 pronto a diventare 352 per la Roma, 3421 che assumeva le forme del 4231 per la Lazio.
La partita l’ha fatta decisamente la Roma nella sua parte più importante, i primi 70 minuti. Nel primo tempo dopo 50 secondi è arrivata già una conclusione, gran sinistro di Angeliño deviato in corner da Guendozi, al 2’ Paredes ha calciato di esterno collo facendo scendere la palla appena dietro la traversa.
Al 7’ l’unico errore della partita di Mancini, con un passaggio orizzontale in controtempo per Paredes che Isaksen ha fatto diventare l’unica vera occasione da gol della Lazio, sprecata da Immobile con un destro scarico neanche vicino al palo.
Al 10’ ancora una grande occasione per la Roma, con una doppia conclusione di Llorente, la prima respinta da Casale e la seconda svirgolata dallo stesso difensore quasi nella sua porta. La Lazio si faceva vedere invece solo su errori in disimpegno dei romanisti, come al 18’ su un rinvio morbido di El Shaarawy, che ha concesso a Vecino l’opportunità di tirare con traiettoria deviata in corner.
Poi è salito in cattedra Pellegrini, prima con un destro non trattenuto dall’incerto Mandas, poi con un sinistro deviato dalla parte opposta rispetto alla direzione del tuffo del portiere biancoceleste, con la palla a sfilare fuori beffardamente: Guida ha poi fermato l’azione per un presunto tocco di braccio di El Shaarawy, ma al replay è sembrato decisamente regolare. Se Pellegrini avesse segnato ci sarebbe stato ampio materiale per il Var.
Angeliño era bravissimo a sdoppiarsi tra compiti difensivi peraltro assolti benissimo (Isaksen uscirà all’intervallo insalutato ospite) e buone sortite offensive, come al 29’, con un gran cross tagliato sul secondo palo per Cristante che ha deviato alto di testa, e come al 35’, per un assist preciso per Celik, che ha schiacciato fuori di testa.
La Roma era ormai padrona del campo, l’antipasto del gol è stata la goffa deviazione di Gila in corner ancora su assist di Angeliño: poi sul calcio d’angolo Dybala ha pitturato per Mancini che ha approfittato della dormita di Romagnoli e ha indirizzato definitivamente il derby.
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FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco